lunedì 10 giugno 2013

[Io che come un sonnambulo cammino] di Camillo Sbarbaro

analisi e commento di Mattia S.
Io che come un sonnambulo cammino
per le mie trite vie quotidiane,
vedendoti dinnanzi a me trasalgo.
Tu mi cammini accanto lenta come
una regina.
                Regolo il mio passo
io subito destato dal mio sonno
sul tuo ch'è come una sapiente musica.
E possibilità d'amore e gloria
mi s'affacciano al cuore  me lo gonfiano.
Pei riccioletti folli d'una nuca
per l'ala d'un capello io posso ancora
alleggerirmi della mia tristezza.
Io sono ancora giovane, inesperto
col cuore ponto a tutte le follie.
Una luce si fa nel dormiveglia.
Tutto è sospeso come in un'attesa.
Non penso più. Sono contento e muto.
Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.
Un io lirico che vaga in un mondo frantumato, polverizzato in una nube di indistinto meccanicismo, messo in luce dalle ambientazioni metafisiche dei componimenti del vociano Camillo Sbarbaro (1888, Santa Maria Ligure - 1967, Savona).
Nelle sue poesie Sbarbaro rappresenta la spersonalizzazione del soggetto, all'interno di una civiltà simbolo della modernità automatizzata e svilente, in cui ha perso la reale e concreta capacità di rapportarsi con l'altro, in consonanza con quello che è il destino e il sentimento degli altri individui vittime di un meccanismo che non controllano.
 Un tema centrale della poesia di Sbarbaro è quello del sonnambulismo, vale a dire quella condizione di mancanza di rapporto concreto con il dato sensibile che ci consente di percepire la realtà quasi senza sentirla o vederla. Lo spazio è quello della quotidianità, arida e pietrificata cui corrisponde quell'alienazione interiore dell'io lirico anch'esso ridotto ad oggetto. "La condizione del soggetto che non sa più chi sia, che non ha più un'identità" (Giuseppe Nava) è la causa e l'esito di questo processo di reificazione.
L'irruzione dell'altro nella monotonia asfittica e pietrificata della vita quotidiana fa trasalire l'io poetante, prefigurando una sorta di incontro-scontro in quei luoghi consumati dalla routine. Lo sguardo si focalizza sul passo di questa nuova figura che "cammina lenta come/ una regina" (v. 4-5). Uno stravolgimento interiore risveglia la volontà del soggetto che, quasi non volendo perdere questo contatto, dice "regolo il mio passo", "destato dal mio sonno, "sul tuo" che è "come una sapiente musica", melodia che ha il potere di ridestare il soggetto da quel torpore abitudinario. Il cuore non può che gonfiarsi "d'amore e gloria" (v.9). La "tristezza" e la mestizia possono essere scacciati da particolari prima inusitati e inesplorati dall'io poetante che così si riscopre 'alleggerito', per dei semplici "riccioletti folli" o "per l'ala d'un cappello".
"Io sono ancora giovane" dichiara il poeta che aggiunge: "inesperto/ col cuore pronto a tutte le follie", volendo marcare la distanza da quel mondo pietrificato in stilemi fissi e immutabili.
"Una luce" balena "nel dormiveglia", ripetizione della tematica del sonnambulismo e del sonno (v.1, 7); tutto quanto viene sottratto alla catena della necessità in una nuova sospensione ora carica di una tensione propositiva che libera dal peso di un'esistenza spenta in un sonno perpetuo e reiterato nella routine. Felice di questa nuova condizione all'io lirico non rimane altro da fare che adeguare il battito del "cuore al ritmo del passo" della "regina" che è riuscita a ridestarlo.

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