lunedì 1 aprile 2013

"Desolazione del povero poeta sentimentale" di Sergio Corazzini

parafrasi e commento di Mattia S.


I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lacrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare di amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole, così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l'aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui venisse di pregare, così, come canta e come dorme.
V
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.

(da "Piccolo libro inutile"; 1906)


Perché tu mi chiami "poeta"? Io non sono un poeta. Io sono un piccolo bambino che piange. Vedi: non ho che lacrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi chiami "poeta"?
I miei dolori sono poveri dolori comuni, di tutti. Le mie gioie furono semplici, talmente semplici che se dovessi confessarle a te dovrei arrossirne. Io oggi penso a morire.
Io voglio morire soltanto perché sono stanco; soltanto perché i grandi angeli sulle vetrate delle cattedrali che vorrei amare mi fanno tremare di inquietudine; soltanto perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio malinconico. Vedi che io non sono un poeta: sono un bambine triste, infelice, che vuole morire. Non stupirti della mia tristezza! Non chiedermi niente; non saprei darti altro che parole talmente inutili, Dio mio, talmente inutili, che mi verrebbe da piangere come se stessi per morire. Le mie lacrime, sgorgando, sembrerebbero un rosario di tristezze che viene sgranato davanti alla mia anima sette volte sofferente, ma io non sarei un poeta; sarei semplicemente un dolce e pensoso bambino cui capiterebbe di pregare, così, come canta e come dorme.
Quotidianamente mi nutro di silenzio come di Gesù. I rumori sono i sacerdoti del silenzio, poiché senza di loro non avrei mai cercato e trovato Dio.
Questa notte ho dormito con le mani in croce. Mi sembrò di essere un piccolo e gentile bambino. scordato da tutti gli uomini, povera e indifesa preda del primo venuto; desiderai, nel sonno, di essere venduto, di venire malmenato, di essere costretto e digiunare per potermi mettere a piangere nella solitudine, sconsolatamente triste, in un angolo buio.
Io amo la vita semplice, umile, delle cose. Quante passioni ho visto sfiorire, appassire, un poco alla volta, per ogni cosa che se ne andava! Tu, però, non mi comprendi e sorridi. Pensi che io sia malato.
Io sono veramente malato! E muoio un poco alla volta, giorno giorno; come le cose. Così non sono un poeta. Io so che, per essere detto poeta, sarebbe opportuno condurre un altro tipo di vita!
Dio mio non so di che morirò.
Amen.

Corazzini, uno dei più grandi poeti del crepuscolarismo, in questo componimento si rivolge direttamente al lettore domandandogli, in apertura, come mai egli si rivolga a lui usando l'appellativo di 'poeta'.
In primo luogo Corazzini prende le distanze dalla poesia con la 'p' maiuscola e dalla conseguente figura del poeta "vate"-superuomo di stampo dannunziano, cui ammicca al verso 53, quando dice che "altra vita" fa il poeta. Il titolo stesso non annuncia nessuna tensione vitalista e dirompente bensì un ripiegamento nella dimensione interiore, peraltro connotata dalla "desolazione" e dalla povertà di un "poeta sentimentale". Poesia che, non a caso, è stata assunta come manifesto del crepuscolarismo, presenta condensati tutti i temi fondamentali della scuola, enunciati in una sorta di dichiarazione di poetica.
Già nella prima strofe della poesia, dove Corazzini si definisce come "un piccolo fanciullo" addirittura "che piange", prende forma la sconsacrazione della figura del poeta che può solamente offrire le sue lacrime alla divinizzazione del "Silenzio" (v.4 -poi in altra forma al v.31). Persino le "tristezze", non hanno nulla di romantico o di eroico: "sono povere tristezze comuni" (v.6); e le "gioie" talmente "semplici" da far arrossire il poeta che oggi non pensa ad altro che alla morte. Proprio la morte (vv. 9, 10, 18, 23, 49, 54 e come "sfogliarsi" al v.44) è una presenza costante nei componimenti di Corazzini, la cui vita, caratterizzata dall'isolamento e dalla malattia della tisi lo porterà a spegnersi all'età di 21 anni.
La stanchezza della malattia, della solitudine e del dolore lo porterà a dire, al verso 10: "io voglio morire"; neppure i simboli cristiani di conforto e di redenzione, della fede, che vorrebbe amare, sono ormai privi della facoltà di lenire le sue sofferenze a, addirittura, non fanno che aumentare l'angoscia del poeta. Il poeta è rassegnato "come un povero specchio" (v.16- similitudine) malinconico (altra caratteristica della poesia crepuscolare) che non può riflettere la sua stessa immagine. La terza strofe si chiude con l'anafora caratteristica di tutto il testo "non sono un poeta: sono un fanciullo", in cui viene aggiunto il tema della tristezza, del grigiore che si risolve nel desiderio di "morire".
La IV strofa riprende la tematica religiosa e della "tristezza": il poeta non può che proferire "parole così vane" (v.21), talmente inutili, da fargli venire le "lagrime" agli occhi. Lacrime che vengono sgranate come le perle di un rosario, davanti alla sua anima "sette volte dolente", allusione alla Vergine dei sette dolori, trafitta da sette spade che rappresentano i peccati capitali. Altra caratteristica della poesia di Corazzini è il concepire la vita come erranza, nella duplice valenza di vagabondare e sbagliare, peccare.
La V strofe, di soli 3 versi, è tutta votata alla metafora e alla tematica religiosa: la comunione "del silenzio" non è dissimile da quella eucaristica legata a Cristo. È un gesto quotidiano che, per il poeta, si ripete ogni giorno. I rumori sono i sacerdoti del silenzio, attraverso di questi ha potuto cercare e trovare Dio.
Tematica religiosa molto forte anche nella VI strofe: "le mani in croce"(v.33), indissolubilmente legata al ripiegamento nella sacralità della dimensione interiore e onirica dove il "piccolo e dolce fanciullo" viene "dimenticato", predato e "battuto"; qui trova i motivi oggettivi della sua sofferenza, per poterla accettare.
"Io amo la vita semplice delle cose" (v.43) è la sintesi di un'altra tematica squisitamente crepuscolare: l'amore e la predilezione verso quei piccoli oggetti dimessi e polverosi della quotidianità. Il poeta vede appassire le "passioni" e tutte le cose, "malato" (vv.47-48) com'è, muore "a poco a poco" (v.44) "ogni giorno" (v.49), "come le cose" (v.50).
Dopo un'allusione a D'annunzio, per prenderne anche le distanze e aver invocato Dio, e il suo "morire" chiude il componimento con un significativo, quanto lapidario, "così sia".


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