lunedì 11 febbraio 2013

Neve di Umberto Saba





Neve che turbini in alto ed avvolgi
le cose in un tacito manto,
una creatura di pianto
vedo per te sorridere; un baleno
d'allegrezza che il mesto viso illumini,
e agli occhi miei come un tesoro scopri.

Neve che cadi dall'alto e noi copri,
coprici ancora, all'infinito. Imbianca
la città con le case e con le chiese,
il porto con le navi; le distese
dei prati, i mari agghiaccia; della terra
fa' - tu augusta e pudica - un astro spento,
una gran pace di morte. E che tale
essa rimanga un tempo indeterminato,
un lungo volger d'evi.
                                Il risveglio,
pensa il risveglio, noi due soli, in tanto
squallore.
               In cielo
gli angeli con le trombe, in cuore acute
dilaceranti nostalgie, ridesti
vaghi ricordi, e piangere d'amore.


Umberto Saba (1883-1957) è stato un poeta italiano di origine triestina. Proprio la città di Trieste, luogo multietnico e multiculturale, sorta di crocevia fra cultura italiana e mitteleuropea, diverrà il teatro delle ambientazioni delle liriche del Saba maturo nonché specchio della psiche del poeta.
Nota distintiva della poesia di Saba è il rifiuto del dannunzianesimo e dell'Ermetismo. Lontano dai gusti estetici delle avanguardie scelse di abbracciare le tradizione italiana giungendo ad una "poesia onesta" dello scavo interiore, sancendo la distanza anche della ricerca del "vero" di Ungaretti.  Poesia di autochiarificazione che abbraccia il mondo della quotidianità.
La raccolta Parole, da cui è tratta la poesia Neve, porta la data del 1934 ed è legata ad un periodo di cura psicoanalitica cui il poeta si era sottoposto per superare le frequenti crisi depressive.

Entrambe le strofe si aprono con la medesima parola: "Neve". Nella prima strofe viene descritto il movimento turbinante della neve che nel suo moto avvolge e copre "le cose" annullandone ogni rumore; al v.v.3, in opposizione al silenzio, viene evocato il "pianto" di una "creatura" che regala un sorriso alla neve. Una gioia accende improvvisamente il viso triste svelando un "tesoro" agli occhi del poeta. Analogia e al contempo opposizione ossimorica di vari elementi che si sposano con il desiderio di quiete e di annullamento che la neve suscita nel poeta. In questa strofe viene anticipata e condensata la tematica della nostalgia, cifra caratteristica di tutto il componimento.

Nella seconda strofe (v.v. 7) spicca subito il "noi": il poeta viene coinvolto nella descrizione riprendendo "occhi miei" del verso 6. Il poeta, da osservatore è divenuto partecipe dell'azione. Il "noi" rimanda ineffabilmente ad una situazione collettiva di partecipazione in seno ad una molteplicità. Il poeta qui invoca la neve affinché continui a ricoprire ogni cosa "all'infinito", imbiancando "la città con le case e con le chiese" (v.v. 9), in un procedimento di focalizzazione che proseguirà nel verso successivo per le "navi" nel "porto". Il poeta continua la sua invocazione pregando la neve, solenne e al contempo timida, di imbiancare i prati e congelare i mari, facendo della terra un pianeta morto e che rimanga così per "un tempo indeterminato", per molti anni a venire.
Lo spazio bianco segna un sospensione nella lettura, quasi a sancire "un lungo volger d'evi". Il verso si apre poi con la tematica del "risveglio", subito ridimensionato, nel verso successivo, alla dimensione dell'immaginazione: "pensa il risveglio", in questa terra desolata solamente "noi due". Ancora un "noi", questa volta più specifico che indica un interlocutore, un dialogo nella forma del soliloquio interiore.
Un altro spazio bianco, un altra pausa; nel cielo, da giudizio universale, squillano le trombe (desiderio ora quasi atavico di annichilimento) mentre nel cuore vibrano i ricordi risvegliati dalla neve, le laceranti "nostalgie" (dolore del ritorno) e lacrime "d'amore".

stazione di Falconara Mma (AN)


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